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Quale segreto vai cercando?

“Perché studi così tanto?
Quale segreto vai cercando?
La vita te lo rivelerà presto.
Io so già tutto, senza leggere o scrivere.
Poco tempo fa, forse solo qualche giorno fa, ero una ragazza che camminava in un mondo di colori, di forme chiare e tangibili.
Tutto era misterioso e qualcosa si nascondeva; immaginare la sua natura era per me un gioco.
Se tu sapessi com’è terribile raggiungere tutta la conoscenza all’improvviso – come se un lampo illuminasse la terra!
Ora vivo in un pianeta di dolore, trasparente come il ghiaccio.
È come se avessi imparato tutto in una volta, in pochi secondi.
Le mie amiche, le mie compagne si sono fatte donne lentamente.
Io sono diventata vecchia in pochi istanti e ora tutto è insipido e piatto.
So che dietro non c’è niente; se ci fosse qualcosa lo vedrei…”

(Lettera ad Alejandro Gomez Arias – Frida Kahlo, Settembre 1926)

La lettera

Sempre per la serie “devi asssolutamente leggerlo!”.
Ecco.
Più che leggere qui si perde tempo.
Trama banale: di queste lettere trovate per caso dopo decenni ormai non se ne può davvero più.
La contestualizzazione storica pallida ed inutile.
Un buonismo appiccicoso ed allappante.
Più che un intreccio di vicende è un guazzabuglio di luoghi comuni ed incontri e ritrovamenti così improbabili da mettere tutto insieme in modo malfermo.
Ogni colpo di scena mi ricordava quelli che “ho tirato fuori il cappotto dell’anno scorso, ed in una tasca ho ritrovato 200euro!!!”: io è già tanto se ritrovo il cappotto.
Non la consiglierei nemmeno come sonnolenta lettura da ombrellone: è il classico brodo-di-pollo-per-l’anima scritto in modo gigione e ruffiano, per attirare chi pretende di leggere quel che vuole sentirsi dire.
Ma la lettura per scuotere deve anche essere dolorosa, straniante: altrimenti viviamo nel falpalà, ignari di tutto.

Postilla.
Io sono una teinomane seriale.
Ma leggere quasi in ogni pagina di bollitori messi sul fuoco e di cortoboranti o consolatorie tazze fumanti ha fatto saltare i nervi anche a me.

Titolo: La lettera
Autore: Kathryn Hughes
Editore: Tea, 348 pagine, 5euro

Corrispondenza

Lettere.
Ne scrivo e ne ricevo tante, da sempre.
Quando ero piccola, e la penna per me la impugnava nonna: mondina spiccia ed autoritaria vera, aveva quella sua grafia elegante, femminile e perfetta da farmi credere che il piccolo angolo dove teneva appoggiata una scatola col suo necessaire per la corrispondenza, che quella fosse la sua stanzatuttaperse.
Io dettavo, lei scriveva e la mattina dopo si imbucavano le buste, una alla volta.
Appesa al muro, lei, la custode delle lettere: rossa, accogliente, muliebre e botticelliana, era per me bimba una sorta di porta magica pronta a farmi comunicare con il Mondo intero.
E continua ad esserlo.
Oggi ho incrociato questa fotografia online, ed ho sorriso.
Mi sono rivista con la gonnellina scozzese a pieghe, le paperine di vernice ai piedi e col braccino allungato a dismisura per arrivare alla feritoia e lasciar cadere dentro la buca l’ultima lettera.
La magia iniziava.
E come un nodo celtico, arrivava alla mia cassetta delle lettere, per poi ripartire.
Tante volte.
Per non lasciare mai fermi i sogni.

L’archivio della contessa D***

“Ruscelli bisbigliavano piano a destra e a sinistra della veranda e si gettavano con fragore in un punto in fondo al giardino.
E sembravano dirmi… senti come corriamo? Come se avessimo qualcosa da fare e un luogo da raggiungere, ma domani di noi non resterà più traccia.
Credi, allo stesso modo si placherà e svanirà tutto ciò che ora ti sconvolge e ti tormenta: la vita stessa se ne andrà, senza lasciare traccia.
Val la pena risvegliare ricordi e porsi domande, crucciarsi e soffrire?
Non rimpiangere quel che è stato, non temere quel che sarà.
Confrontati, perdona, dimentica…”

Una delle mie debolezze di lettrice è il feticismo profondo verso le edizioni Sellerio.
Piccoli, morbidi e curatissimi volumetti di un’eleganza profonda e discreta al tempo stesso.
E l’eleganza che li contraddistingue non è meramente fisica: nota ai più per i romanzi di Camilleri, questa casa editrice è una fonte continua di piccole meraviglie, con un ventaglio di autori ricercati e dalle penne speciali.

Questa volta mi sono imbattuta in Aleksej Apuchtin, e nella sua curiosa raccolta di lettere.
Si, raccolta: non romanzo epistolare.
Semplicemente perché nel susseguirsi delle pagine possiamo leggere le missive, ora d’amore ora d’amicizia, inviate alla contessa Ekaterina Aleksandrovna: ma non le sue risposte.
Strumento stilistico interessante, ch rende la lettura di una fluidità inaspettata.
Al centro di tutto, San Pietroburgo: città meravigliosa, ma che come un vortice inghiotte i protagonisti delle lettere. Da una parte sognano di fuggire, trasferirsi altrove, in campagna o comunque centri minori, stanchi di una metropoli dove l’opulenza, la falsità e l’apparire schiacciano e cancellano l’esistenza, e spesso la dignità degli abitanti; ma dall’altra parte

“… i fatterelli mondani mi interessano come un attore che abbia finito la sua parte, sia passato nel pubblico, ed ora segua curioso i compagni che continuano a recitare…”

Amori traditi, ed altri che nascono.
Famiglie ritrovate.
Eredità, morti irriconoscenti e matrimoni di convenienza.
Pagine interminabili e brevi telegrammi.

All’inizio la lettura vi sembrerà un po’ strana, ma il meccanismo è davvero perfetto: andando avanti noterete come le righe dei vari mittenti si fondano perfettamente le une alle altre, creando un intreccio perfetto, in grado anche di strappare qualche amaro sorriso sulle miserie umane: pecuniarie e morali.

Essenziali per affrontare le pagine sono sia le note a fondo volume, che vi caleranno ancora di più nei personaggi e nello stile dell’epoca, che la splendida introduzione di Caterina Maria a Fiannacca: in modo preciso regala un affresco dell’epoca, una minuta ma preziosa lettura del testo ed una curata biografia dell’autore.
Titolo: L’archivio della contessa D**
Autore: Aleksej Apuchtin
Editore: Sellerio editore Palermo, 125 pagine, 7euro

Kafka e la bambola viaggiatrice

Non un romanzo.
Ma un bel racconto lungo.
Che ci presenta, in forma romanzata, un episodio realmente avvenuto nella vita dello scrittore Franz Kafka.

Come consolare una bambina che piange a dirotto dopo aver smarrito la sua bambola?
Sconosciute entrambe all’uomo che cerca di rincuorare l’una, e di non perdere le speranze per l’altra?

Le pagine volano via velocemente.
Tra lacrime, amore e crescita.
Ed intorno, lo sguardo amorevole della compagna di Franz, che tutto avvolge e protegge.

Buona lettura…

Titolo: Kafka e la bambola viaggiatrice
Autore: Jordi Sierra i Fabra
Ed: Salani Editore, 121 pagine,12euro

Una forma di vita

Da diversi anni Amélie Nothomb è per me una vera garanzia, e rientra di dirirtto in quella nicchia di autori che porto alla cassa senza nemmeno pensarci.
Con “Una forma di vita” è stato automatico.
Anzi, sono stata ancor più veloce dopo aver visto che si trattava di uno scambio epistolare tra la scrittrice ed un soldato americano di stanza a Baghdad, Melvin Mapple.

“… sono un soldato di seconda classe dell’esercito americano, mi chiamo Melvin Mapple, ma lei può chiamarmi Mel.
Sono di stanza a Baghdad dall’inizio di questa guerra di merda, cioè da più di sei anni.
Le scrivo perché soffro come un cane.
Ho bisogno di un po’ di comprensione e lei, io lo so, lei mi capirà.
Mi scriva.
Spero di avere presto una sua risposta…”

Nella vita reale, la scrittrice risponde davvero alle lettere che i suoi lettori le inviano da ogni parte del Mondo.
E la quasi totalità si sfoga sulla carta, trovando nella Nothomb una sorta di pozzo senza fondo pronto ad accogliere tutti i loro problemi, le lagnanze ed i pianti.
“La gente vede in me il terreno ideale per le sue segrete semine”


Appena letto il breve messaggio di Mel, il suo pensiero è stato:
“La mia capacità di sopportare il dolore altrui era giunta al limite.
In più, la sofferenza di un soldato americano sarebbe stata alquanto ingombrante.
Sarei riuscita a contenere un simile volume?
No. ”

Controlla timbri e francobolli sulla busta, non è un mitomane: riportano tutti al suo battaglione in Iraq.
Poi scatta qualcosa che la convince a proseguire.
Le lettere del soldato si fanno sempre più frequenti, lunghe e corpose.
Ecco: corpose.
Il corpo, la fisicità, è l’elemento che regge lo scambio epistolare.
Melvin è un soldato di taglia XXXXL.
Non è sempre stato così.
Infatti inizia a raccontarsi dalla sua adolescenza nella provincia americana, gli scontri con i genitori, le esperienze come senzatetto, per arrivare infine al suo arruolamento: una scelta dettata non dal patriottismo, ma dalla mera sopravvivenza.
Cosa ha portato questo ragazzo ad andare oltre l’obesità?
E’ stato un modo per combattere la noia dei lunghi mesi in teatro.
Ma anche come una vera e propria droga, in grado di regalare un trip che allontanava da tutto: guerra, sofferenza, armi, morti…

Questo non è, purtroppo, un tema inventato dall’autrice: esiste un’ampia documentazione sull’aumento spropositato di peso in molti soldati americani in missione.
Alcuni link interessanti per iniziare ad approfondire:

http://www.corriere.it/esteri/09_marzo_24/obesi_esercito_usa_1c022d66-188d-11de-911f-00144f486ba6.shtml ;
http://america24.com/news/esercito-americano-allarme-obesit- ;
http://www.forzearmate.eu/dblog/articolo.asp?articolo=295 .

Il merito di Amélie Nothomb è però quello di essere andata oltre: nelle sue risposte invita Mel a scrivere ancora, soprattutto più dettagliatamente.
Arrivano allora i racconti delle abbuffate pantagrueliche, le litigate coi commilitoni, il crearsi Sherazade, la sua fidanzata immaginaria.
A colpire la scrittrice è un’idea del soldato: quella di concepire la sua crescente ed inarrestabile obesità come un’opera d’arte.
Peccato che da questo momento, qualcosa si incrini: l’autrice più volte si domanda se il delirio di Mel non sia stato, in qualche modo, fomentato e nutrito da lei, e medita se e come allontanarsi da un uomo ormai totalmente fuori controllo.
Ma non sarà questo a dare una svolta .
Ricordiamoci che chi scrive è un soldato in teatro operativo, ed un giorno accade quel che Amélie temeva: non arrivano più lettere.
Però qui mi fermo: lascio a voi il prosieguo della lettura…

Il romanzo è breve: l’autrice è sempre dell’idea che dilungarsi possa annoiare il lettore.
In effetti la sensazione è che anche solo una paginetta in più sarebbe stata “troppo”: è stata una brevità necessaria per stordire il lettore, farlo passar dalla gioia al pianto, dalla depressione al delirio di onnipotenza, fino ad arrivare alla stilettata improvvisa che sconvolgerà tutto.
Leggere “Una forma di vita” mi ha fatto scoprire una scrittrice che, a mio parere, è tornata ai suoi esordi.
Essenziale sia nell’essere cinica che compassionevole, scongiurando così l’effetto di un pomposo ed inconcludente esercizio di stile.
Proprio questa semplicità riesce a catturare il lettore, permettendogli di non immedesimarsi nei protagonisti, ma di rielaborare all’istante quel che vede sulla carta ed utilizzarlo per capirsi un po’ di più, perché:

“La lettura consente di scoprire l’altro, conservando la profondità che si ha unicamente quando si è soli…”

Titolo: Una forma di vita
Autore: Amélie Nothomb
Edizione: Volant, 116 pagine, 14euro

Unaformadivita

Dieci affascinanti ultime lettere

Un post di Listeverse che mi ha fatto lucciare gli occhi mentre aggredivo la colazione.