Da diversi anni Amélie Nothomb è per me una vera garanzia, e rientra di dirirtto in quella nicchia di autori che porto alla cassa senza nemmeno pensarci.
Con “Una forma di vita” è stato automatico.
Anzi, sono stata ancor più veloce dopo aver visto che si trattava di uno scambio epistolare tra la scrittrice ed un soldato americano di stanza a Baghdad, Melvin Mapple.
“… sono un soldato di seconda classe dell’esercito americano, mi chiamo Melvin Mapple, ma lei può chiamarmi Mel.
Sono di stanza a Baghdad dall’inizio di questa guerra di merda, cioè da più di sei anni.
Le scrivo perché soffro come un cane.
Ho bisogno di un po’ di comprensione e lei, io lo so, lei mi capirà.
Mi scriva.
Spero di avere presto una sua risposta…”
Nella vita reale, la scrittrice risponde davvero alle lettere che i suoi lettori le inviano da ogni parte del Mondo.
E la quasi totalità si sfoga sulla carta, trovando nella Nothomb una sorta di pozzo senza fondo pronto ad accogliere tutti i loro problemi, le lagnanze ed i pianti.
“La gente vede in me il terreno ideale per le sue segrete semine”
Appena letto il breve messaggio di Mel, il suo pensiero è stato:
“La mia capacità di sopportare il dolore altrui era giunta al limite.
In più, la sofferenza di un soldato americano sarebbe stata alquanto ingombrante.
Sarei riuscita a contenere un simile volume?
No. ”
Controlla timbri e francobolli sulla busta, non è un mitomane: riportano tutti al suo battaglione in Iraq.
Poi scatta qualcosa che la convince a proseguire.
Le lettere del soldato si fanno sempre più frequenti, lunghe e corpose.
Ecco: corpose.
Il corpo, la fisicità, è l’elemento che regge lo scambio epistolare.
Melvin è un soldato di taglia XXXXL.
Non è sempre stato così.
Infatti inizia a raccontarsi dalla sua adolescenza nella provincia americana, gli scontri con i genitori, le esperienze come senzatetto, per arrivare infine al suo arruolamento: una scelta dettata non dal patriottismo, ma dalla mera sopravvivenza.
Cosa ha portato questo ragazzo ad andare oltre l’obesità?
E’ stato un modo per combattere la noia dei lunghi mesi in teatro.
Ma anche come una vera e propria droga, in grado di regalare un trip che allontanava da tutto: guerra, sofferenza, armi, morti…
Questo non è, purtroppo, un tema inventato dall’autrice: esiste un’ampia documentazione sull’aumento spropositato di peso in molti soldati americani in missione.
Alcuni link interessanti per iniziare ad approfondire:
– http://www.corriere.it/esteri/09_marzo_24/obesi_esercito_usa_1c022d66-188d-11de-911f-00144f486ba6.shtml ;
– http://america24.com/news/esercito-americano-allarme-obesit- ;
– http://www.forzearmate.eu/dblog/articolo.asp?articolo=295 .
Il merito di Amélie Nothomb è però quello di essere andata oltre: nelle sue risposte invita Mel a scrivere ancora, soprattutto più dettagliatamente.
Arrivano allora i racconti delle abbuffate pantagrueliche, le litigate coi commilitoni, il crearsi Sherazade, la sua fidanzata immaginaria.
A colpire la scrittrice è un’idea del soldato: quella di concepire la sua crescente ed inarrestabile obesità come un’opera d’arte.
Peccato che da questo momento, qualcosa si incrini: l’autrice più volte si domanda se il delirio di Mel non sia stato, in qualche modo, fomentato e nutrito da lei, e medita se e come allontanarsi da un uomo ormai totalmente fuori controllo.
Ma non sarà questo a dare una svolta .
Ricordiamoci che chi scrive è un soldato in teatro operativo, ed un giorno accade quel che Amélie temeva: non arrivano più lettere.
Però qui mi fermo: lascio a voi il prosieguo della lettura…
Il romanzo è breve: l’autrice è sempre dell’idea che dilungarsi possa annoiare il lettore.
In effetti la sensazione è che anche solo una paginetta in più sarebbe stata “troppo”: è stata una brevità necessaria per stordire il lettore, farlo passar dalla gioia al pianto, dalla depressione al delirio di onnipotenza, fino ad arrivare alla stilettata improvvisa che sconvolgerà tutto.
Leggere “Una forma di vita” mi ha fatto scoprire una scrittrice che, a mio parere, è tornata ai suoi esordi.
Essenziale sia nell’essere cinica che compassionevole, scongiurando così l’effetto di un pomposo ed inconcludente esercizio di stile.
Proprio questa semplicità riesce a catturare il lettore, permettendogli di non immedesimarsi nei protagonisti, ma di rielaborare all’istante quel che vede sulla carta ed utilizzarlo per capirsi un po’ di più, perché:
“La lettura consente di scoprire l’altro, conservando la profondità che si ha unicamente quando si è soli…”
Titolo: Una forma di vita
Autore: Amélie Nothomb
Edizione: Volant, 116 pagine, 14euro