“Il tuo amore mi ha insegnato a essere triste,
ed io, da secoli, cercavo una donna che mi rendesse triste
una donna tra le cui braccia ho potuto piangere come un passero
una donna che avrebbe raccolto i miei pezzi, i miei frammenti di cristallo.
Il tuo amore, signora, mi ha spinto ad adottare cattive abitudini
a cercare di prevedere il futuro, sul fondo della mia tazza, migliaia di volte nella notte
a provare i rimedi dei guaritori e a bussare alla porta dei veggenti,
mi ha spinto ad uscire di casa per pettinare i marciapiedi,
e inseguire il tuo viso ovunque, sotto la pioggia,
nelle luci delle auto, negli abiti sconosciuti,
e a rincorrere il tuo spettro
nei manifesti della pubblicità,
a raccogliere dai tuoi occhi milioni di stelle.
Il tuo amore mi ha insegnato a girovagare, per ore,
alla ricerca di una chioma selvaggia
invidiata da tutti gli zingari,
di un volto, di una voce
che sono tutti i volti e tutte le voci…
Il tuo amore, signora, mi ha introdotto nelle città della tristezza
e prima del tuo amore non sapevo cosa fosse la tristezza,
non ho mai saputo che le lacrime sono l’Umano
e che l’Umano, senza tristezza non è che la parvenza di un essere umano.
Il tuo amore mi ha insegnato a comportarmi da bambino
a disegnare il tuo viso col gesso sui muri,
sulle vele dei pescherecci,
sulle campane della chiesa, sui crocifissi.
Il tuo amore mi ha insegnato che può cambiare la mappa del tempo,
mi ha permesso di capire che quando si ama, la terra smette di girare
il tuo amore mi ha insegnato cose che non avrei mai considerato.
Ho letto fiabe per bambini,
sono entrato nei palazzi dei re Geni,
ho sognato di sposare la figlia del Sultano,
i cui occhi sono più blu dell’acqua di una laguna,
le cui labbra sono più seducenti dei fiori di melograno.
Ho sognato di portarla via come un cavaliere,
di offrirle collane di perle e corallo.
Il tuo amore mi ha insegnato cos’è il delirio,
mi ha insegnato come la vita si consuma
senza che giunga la figlia del sultano.
Il tuo amore mi ha insegnato
come amarti in tutte le cose,
negli alberi nudi, nelle foglie ingiallite e secche,
in un giorno piovoso, nelle tempeste,
nel più piccolo Caffè in cui beviamo,
alla sera, il nostro caffè nero.
Il tuo amore mi ha insegnato
a cercare rifugio in alberghi senza nome,
in chiese senza nome,
in caffè senza nome.
Il tuo amore mi ha insegnato
come la notte può ingrandire
il dolore degli stranieri;
mi ha insegnato a contemplare Beirut,
una donna, tiranna e tentatrice,
una donna che indossa ogni sera
i più begli abiti che possiede
e spruzza profumo sul suo seno,
per il pescatore e i principi.
Il tuo amore mi ha insegnato
a piangere senza ragione,
mi ha insegnato gli incubi,
come un ragazzo con i piedi amputati
tra le strade di Rouche e Hamra.
Il tuo amore mi ha insegnato a essere triste,
ed io, da secoli, cercavo una donna che mi rendesse triste,
una donna tra le cui braccia ho potuto piangere come un passero,
una donna che avrebbe raccolto i miei pezzi, i miei frammenti di cristallo…”
(Nizar Qabbani – La scuola dell’Amore, da Opere selvagge: 1970
Scatto: Helmut Newton)